I taralli di Pasqua: una ricetta che è un pezzo d’infanzia per me. L’impasto si lavora a mano e molto a lungo. Dopo tante prove, ecco i miei consigli per farli venire alti e asciutti.
I taralli di Pasqua sono una deliziosa specialità tipica della tradizione culinaria italiana. Questi biscotti salati sono diffusi in molte regioni del Paese, ma le loro origini risalgono all’antica Roma.
In origine, i taralli erano un alimento molto comune tra i legionari romani, che li portavano con sé durante le loro lunghe campagne militari. La ricetta originale prevedeva l’uso di farina, acqua e sale, che venivano mescolati e poi lavorati a mano per creare la forma caratteristica di anello.
Con il passare del tempo, la ricetta dei taralli si è evoluta, dando vita a numerose varianti regionali. In Puglia, ad esempio, si aggiungono alla preparazione dell’impasto anche olio d’oliva e vino bianco, mentre in Abruzzo si utilizza la sapa, un condimento a base di mosto cotto.
L’uso dei taralli in occasione della Pasqua ha una storia antica. In passato, infatti, durante il periodo della Quaresima, era vietato consumare alimenti di origine animale. La ricetta dei taralli, a base di farina e acqua, rispettava questa tradizione, permettendo di gustare comunque un alimento saporito durante questo periodo di digiuno.
Oggi, i taralli di Pasqua rappresentano una prelibatezza che viene preparata in molte famiglie italiane durante le festività. La loro forma a anello simboleggia l’infinito e la rinascita, evocando l’atmosfera di festa e di gioia che accompagna la Pasqua.
In conclusione, la storia dei taralli di Pasqua ci riporta alle radici della tradizione culinaria italiana, che si basa sulla semplicità e sull’uso di ingredienti naturali. Questi biscotti salati sono diventati un simbolo delle festività pasquali, rappresentando l’unione tra il passato e il presente, tra la cultura e la tradizione.
Per papà non era Pasqua senza i taralli. Li mangiava accompagnati da generosi sorsi di vino rosso, altrimenti, come si dice nel nostro dialetto “’nzuccavano”, per indicarne la consistenza molto asciutta.
Non sempre venivano alti e, a volte, restavano un po’ umidi al centro. Mia madre ci restava male, non riuscendo a spiegarsi perché.
Nel tempo ho provato a farli solo un paio di volte. Sono venuti discreti, ma non buonissimi. La ricetta di mamma era composta esclusivamente da uova, farina, sale, olio.
Quest’anno, con tanto tempo a disposizione e la voglia di rifugiarmi nei ricordi più cari in cerca di conforto, ho letto e sperimentato tantissimo. Ho scoperto che sono tipici di varie zone d’Italia, soprattutto del Sud, anche se conosciuti con nomi diversi. Grazie ad un post nel gruppo di Anice e Cannella, il mio preferito su facebook, e, soprattutto grazie all’autrice Michela Gullini, sono venuta a conoscenza di una ricetta simile tipica delle Marche, chiamata “ciambelle strozzose”.
Sapevo che nelle nostre zone qualcuno metteva un po’ di bicarbonato nell’impasto, come agente lievitante. Michela, invece, parlava di una bustina venduta in farmacia e probabilmente composta di bicarbonato, ammoniaca e cremor tartaro in parti uguali. Un pizzico di questa miscela per ogni uovo.
Poiché, nelle varie prove, qualche volta mi sono venuti verdini, nella preparazione della miscela ho usato più o meno pari peso di ammoniaca e cremor tartaro e proprio un pizzichino di bicarbonato (responsabile del colore verde).
È possibile usare anche solo un paio di grammi di ammoniaca, ma la bustina deve essere aperta al momento, perché, se è già aperta, è possibile che sia un poco evaporata. Poiché sono dosi molto piccole, è importante che la polvere sia al massimo della sua potenza.
Le attenzioni da usare per questi taralli sono tante: impastare a mano e molto a lungo, anche un’ora. Con la planetaria o l’impastatrice verranno più bassi. Far riposare un po’ l’impasto, formare i taralli e cuocerli dolcemente, senza che mai l’acqua venga in ebollizione. Scolarli dopo un 15/20 minuti di cottura, girandoli mentre cuociono. Farli riposare anche una notte prima di infornare o almeno qualche ora. Cuocere nel forno preriscaldato al massimo per un 10/15 minuti, poi abbassare a 200° per altri 10, terminando la cottura a 170°. Far raffreddare con il forno in fessura. A seconda delle dimensioni possono impiegare da 40 a 60 minuti circa.
Per aromatizzare, come liquore, si può usare anche anice o altro liquore forte tipico.
La tradizione vuole un tarallo per ogni uovo, quindi dal nostro impasto ne dovremmo fare cinque (più o meno 170 g ognuno). Io li ho fatto un po’ più piccoli per comodità di consumo e ne sono venuti 7.
So che, con le bilance casalinghe, è impossibile pesare due grammi. Dovremo “regolarci” un po’ ad occhio. Per esempio, la bustina di ammoniaca è di 20 grammi? Versiamola su un pezzetto di carta forno e facciamo 10 mucchietti più o meno uguali.
Ho girato a parte un piccolo video di una glassa diversa, realizzata con sciroppo di zucchero, adatta a rivestire sia i taralli che altri dolci.
Ps: c’è anche un’altra ricetta di taralli che prevede l’utilizzo di alcool a 95° e solo ammoniaca nell’impasto. Questa assicurerebbe la riuscita di taralli altissimi, quelli che sembrano abbiano il collare.
Io non l’ho provata, primo perché, per 20/30 g di alcool puro previsti nell’impasto, dovremmo comprare per forza una bottiglia grande se e quando riuscissimo a trovarne in commercio; secondo perché, quando qualche volta ho assaggiato questi taralli altissimi, la pasta era inconsistente, secca e piuttosto insapore.
All’anno prossimo per nuovi esperimenti! I segreti su questi taralli non finiscono qui!
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