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Buongiorno alla primavera della mia vita, E.

Buongiorno alla primavera della mia vita, E.

Mi chiamò la mattina successiva. Ero al lavoro per cui fui piuttosto sbrigativa. Disse che ci saremmo risentiti, “Se ti fa piacere, domenica pomeriggio c’è un concerto nella chiesetta di Santa Maria Assunta.”

Oddio, non è che per la musica mi sentissi molto portata. Mi piaceva, ma sicuramente in un’ora e mezza mi sarei annoiata. Però mi vergognavo a dire la verità.

Chissà perché nella mia mente erano così vividi tutti i particolari della mia storia con Enrico. Nel corso dei primi mesi me la ripassavo, mi piaceva rivivere attimo dopo attimo, incredula. Non avevo mai provato un sentimento così. Ero stata baciata dalla fortuna.

Successivamente, ero andata alla ricerca di indizi rivelatori. Il particolare che non mi era stato chiaro, la frase che non avevo letto. Così, come di consueto, avrei potuto dire a me stessa: “E’ colpa tua!”

Quando arrivò la domenica pomeriggio, mi sentivo una scolaretta. Un abito era troppo lungo, un altro troppo corto, il pantalone no, Enrico di sicuro sarebbe stato elegante, cosa indossare per un concerto in una chiesa? Scovai un vestito chemisier di qualche anno prima, con i bottoncini davanti, avorio, sembrava di seta, un poco sopra al ginocchio. Casto, ma malizioso. Decolté e cappottino nero. Certo il contrasto tra i colori mi sembrava esagerato, ma non avevo saputo fare meglio. Avrei tenuto il cappotto un poco abbottonato e la borsa appoggiata sulle gambe, una volta seduti in chiesa.

Enrico mi fece tanti complimenti. Io sorridevo. Quando prendemmo posto, lui salutò con un cenno del capo alcune persone sedute qualche fila davanti a noi. La chiesa era davvero molto piccola, non era agevole muoversi tra le sedie. Musica classica, avrebbe suonato una pianista bravissima.

Durante il concerto un po’ ascoltavo e un po’ mi guadavo intorno, riflettendo. Stavo cercando di compiacere Enrico. Lo fissavo, assorto e catturato completamente dalle melodie. Tra un brano e l’altro mi chiedeva “ti piace?” “Si, si, è molto brava.” Mi sentivo strana, come se io e lui appartenessimo a due dimensioni diverse. Cercavo un elemento in comune, ma non riuscivo a trovarlo. Perché mi sentivo attratta?

Fino ad allora, erano stati gli uomini inquieti a catturare la mia attenzione.

Alla fine, fui sollevata. Lungo la strada del ritorno, ci fermammo in un locale per bere qualcosa. Emanuela era a casa e volevo tornare presto. Enrico prese un calice di vino bianco ed insistette affinché lo prendessi anche io. Ero quasi astemia perciò rifiutai. Mi fece preparare un aperitivo che gli piaceva tantissimo. “Devi saggiarlo”, disse. Convenni con lui che era buono.

Parlammo del nuovo lavoro, ero contenta ma anche un po’ preoccupata. Mi rassicurò, aveva sempre le parole giuste. Continuò, raccontando delle tante situazioni diverse che aveva vissuto nella sua vita. Uno spirito positivo e goliardico. Anche quella sera lui brillò.

Sotto casa stavolta non ci fermammo in auto.

Scese per aprirmi e sfiorandomi le labbra con un bacio mi disse:

“Angela mi piaci moltissimo, sei molto dolce. Non è solo un fatto fisico. Sei bellissima anche nel corpo, sarei bugiardo se ti dicessi che non ti desidero, che non farei l’amore con te subito, anche sotto il portone, adesso. Però è tanto di più, un trasporto, la voglia di aiutarti e di vederti felice.” Mi fissò gli occhi, in attesa di una mia reazione.

Lo guardai e sorrisi.

“Angela, il tuo primo sabato libero mi prometti che lo trascorriamo insieme?”

Non aspettò la risposta e mi strinse forte.

Ero intimorita ed anche un po’ rigida, perciò non ricambiai l’abbraccio con lo stesso impeto.

Mi lasciai abbracciare, respirando il suo profumo. L’accenno alla mia felicità mi aveva turbato.

La mattina successiva, mentre prendevo il caffè, mi arrivò un messaggio: “Buongiorno alla primavera della mia vita, E.”

Che bel pensiero, mi piacque moltissimo.

Risposi “Grazie, buongiorno a te.”

Lui: “Oggi è il 21 marzo.”

Oh, non ci avevo pensato!

Quella settimana volò. Al lavoro avevano preso una nuova ragazza. Mi sentivo piena di energie e appena potevo me ne andavo a correre.

Mi dedicai tanto anche alla cucina, preparando scorte per il congelatore. Mi seccava moltissimo preparare piccole quantità di cibo, perciò quando potevo cuocevo magari un roastbeef, lo tagliavo a fette e via in vaschette monoporzione. La stessa cosa per i sughi. Congelavo anche i biscotti, da crudi. Preparavo l’impasto, formavo i rotoli, li avvolgevo nella pellicola e subito in congelatore. Quando li volevo pronti, li mettevo in frigo una notte e la mattina in un’ora erano cotti. Erano la felicità degli amici di Emanuela!

Un pomeriggio io e lei ce ne andammo in giro per negozi. Non potevamo spendere molto, ma era divertente provare tanti vestiti. Si portavano le magliette corte e strette e i pantaloni un po’ strappati. Camminavamo tenendoci per mano.

Enrico fece sentire la sua costante presenza con messaggi e qualche telefonata. Iniziai a scrivergli anche io. Lo schermo mi permetteva di non avere pudore ed essere coraggiosa. La sera, quando mi mettevo a letto, facevo tante fantasie su di lui. Il suo profumo mi piaceva moltissimo e quando lo respiravo mi sentivo languida. Allora il fiotto di emozioni si traduceva nelle parole.

“Ciao Enrico. Grazie per tutto. Per la prima volta nella mia vita, sento di potermi fidare di un uomo. Mi piaci. Le tue attenzioni mi fanno sentire preziosa.”

“Lo sei. Appena ti ho visto, i tuoi occhi mi hanno parlato. E.”

(5 Continua )

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Antonietta Polcaro

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Antonietta Polcaro
Tags: Enrico

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