Le polpette di pane sono un ottimo modo di riciclare il pane avanzato è questa ricetta “povera”: pane, formaggio, uova e aromi. Se restano, metto in congelatore già in porzioni singole.
La polpetta è una pietanza a base di carne, verdure o pesce, spezie e aromi impastati in tuorli d’uovo, farina e pangrattato e servite a tavola come seconda portata. Una volta preparato l’impasto, se ne prendono via via piccole porzioni che, schiacciate e lavorate a mano, raggiungono la caratteristica forma rotondeggiante. Le si può cuocere in umido, in forno o fritte.
Probabilmente il primo, vero inventore delle polpette fu Marco Gavio Apicio, cuoco romano, che tra 25 a.C. e il 35 a.C. cucinava sicuramente delle polpette sia di carne sia di pesce (come si può vedere nei suoi libri di ricette, tramandati fino a oggi). Nonostante questo, non v’è traccia della parola “polpetta”, che appare nel secolo XV grazie al Libro de Arte Coquinaria di Maestro Martino, cuoco dell’allora camerlengo patriarca di Aquileia.
Nel capitolo I di questo libro – scritto in lingua volgare – l’autore delinea, a suo giudizio, i modi migliori per cucinare vari tagli di carne di differenti animali.
Tra l’altro, scrive: «[…] carne de vitello, zioè il pecto davanti è bono allesso, et la lonza arrosto, et le cosse in polpette. […] De la carne del cervo la parte denanzi è bona in brodo lardieri, le lonze se potono far arrosto, et le cosse son bone in pastello secco o in polpette».
Nel descrivere poi la preparazione di quella che lui definisce polpetta, Maestro Martino pare però alludere a una pietanza che noi, oggi, chiameremmo involtino allo spiedo. In ogni caso, nella storia della letteratura culinaria italiana, questa è la prima ricetta in assoluto espressamente dedicata alle polpette:
«Per fare polpette di carne de vitello o de altra bona carne. In prima togli de la carne magra de la cossa et tagliala in fette longhe et sottili et battile bene sopra un tagliero o tavola con la costa del coltello, et togli sale et finocchio pesto et ponilo sopra la ditta fetta di carne. Dapoi togli de petrosimolo, maiorana et de bon lardo et batti queste cose insieme con un poche de bone spetie, et distendile bene queste cose in la dicta fetta. Dapoi involtela inseme et polla nel speto accocere. Ma non la lassare troppo seccar al focho».
Pellegrino Artusi, nel suo ben noto manuale La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (1891), così ci presenta le polpette:
«Non crediate che io abbia la pretensione d’insegnarvi a far le polpette. Questo è un piatto che tutti lo sanno fare cominciando dal ciuco, il quale fu forse il primo a darne il modello al genere umano. Intendo soltanto dirvi come esse si preparino da qualcuno con carne lessa avanzata; se poi le voleste fare più semplici o di carne cruda, non è necessario tanto condimento. Tritate il lesso colla lunetta e tritate a parte una fetta di prosciutto grasso e magro per unirla al medesimo. Condite con parmigiano, sale, pepe, odore di spezie, uva passolina, pinoli, alcune cucchiaiate di pappa, fatta con una midolla di pane cotta nel brodo o nel latte, legando il composto con un uovo o due a seconda della quantità. Formate tante pallottole del volume di un uovo, schiacciate ai poli come il globo terrestre, panatele e friggetele nell’olio o nel lardo. Poi con un soffritto d’aglio e prezzemolo e l’unto rimasto nella padella passatele in una teglia, ornandole con una salsa d’uova e agro di limone».
Di là dalla raffinata salsa in fricassea con cui l’Artusi ci suggerisce di condire il piatto, questo scritto ci ricorda come, almeno in determinati periodi storici, le polpette siano state anche un modo per riciclare gli avanzi di carne, specialmente del lesso. Il trito ci permette di mescolare e “nascondere” gli ingredienti originali, lasciandoci solo da assaporare il gusto finale. Com’è accaduto per altri cosiddetti “piatti poveri”, anche le polpette hanno conosciuto la loro evoluzione, divenendo un piatto a sé stante, preparato acquistando appositamente gli ingredienti ed evitando, quasi completamente, il riciclo di eventuali avanzi. Oggigiorno, si privilegiano materie prime “ricche”, quali: carne macinata fresca, Parmigiano grattugiato, prosciutto o mortadella (sempre triturati); oppure le si prepara col pesce (ad esempio il baccalà), o di verdure.
Io ne faccio sempre questa quantità, in modo da poterne congelare qualche vaschetta.
Nella nostra zona, in particolare nel paese di Montaperto, in provincia di Avellino, si usa chiamarle “mantoppole”.
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