Quando ero piccola (nella foto io e mia sorella) l’estate era il mare.

Ogni anno, subito dopo la fine della scuola, zio Tonino, marito della sorella di mamma, e papà, con la sua Fiat 850 celestino verde acqua, andavano a cercare un appartamento per trascorrere la nostra estate al mare, per la seconda quindicina di luglio, in una località non molto lontana da casa. Agropoli, Paestum, qualche anno ci siamo spinti fino a Marina di Camerota. Una volta ci hanno raggiunto pure i parenti canadesi!

I due se ne tornavano con qualche proposta, che doveva passare al vaglio delle mogli. Una volta deciso, si metteva in moto la macchina organizzativa. Per l’occasione, mia madre si decideva ad uscire per fare la spesa. Si metteva d’accordo con la sorella, papà le accompagnava ed insieme andavano al supermercato. Alla spesa non poteva partecipare nessun altro. Papà non aveva voce in capitolo, era funzionale al trasporto a destinazione.

Candeggina, alcool, detersivo, acido muriatico, stracci, spazzolone, scopa, sapone per il bucato e per lavarci, carta igienica, tutto passato ai raggi x per valutarne qualità e convenienza. Qualche concessione nel reparto alimentari: pasta, riso, latte, biscotti Atene e Marie; qualche volta le “sorelle” sono state buonissime e ci hanno comprato le Marie a forma di animali.

La salsa di pomodoro si portava da casa, perché da noi ad agosto, sempre in concomitanza con la festa di Sant’Antonio, si facevano “ ‘e buttiglie e pummarole”. Portavamo da casa anche le uova, il vino, poco, solo per i due maschi, l’olio, tutto di nostra produzione.

Il giorno prima della partenza per l’estate al mare, nel pomeriggio, si caricava la Fiat: tutti in mezzo all’aia. Ognuno aveva un compito. Mamma usciva quando il portabagagli era già montato. Lei attendeva alle operazioni di carico, facendo pure la supervisione. Valigie sotto, ombrellone di lato, sedie sdraio sopra. Papà ed il colono, Minuccio, tiravano la fune, ci voleva forza. Per sicurezza ne usavano due. Venivano comunque fatte delle prove di staticità, muovendo l’auto da una parte all’altra. Si passava al resto, caricando il bagagliaio dell’auto.

Le cose fragili venivano aggiunte prima della partenza e viaggiavano in auto con noi. I coloni restavano a casa. Si partiva di mattina presto. All’andata non ci fermavamo mai, al ritorno, invece, si, per mangiare i panini, perché pure allora esistevano le partenze intelligenti e si approfittava dell’ora di pranzo per viaggiare senza traffico.

Appena arrivati, eravamo in nove, mio zio aveva una Fiat 128, si scaricavano le auto ed ognuno portava una cosa. Su e giù come le formiche. Si raccoglieva tutto sul pianerottolo; quando non era sufficiente veniva utilizzato parte di quello inferiore. La casa doveva essere disinfettata. Le sorelle procedevano alla pulizia, compreso i mobili, gli armadi e i balconi, mentre noi altri dovevamo aspettare fuori seduti sulle scale. Al loro segnale, si portava la roba dentro e si procedeva alla sistemazione. Nel frattempo papà e zio andavano a comprare qualcosa di veloce per il pranzo. Pane, mozzarella, mortadella.

Il pomeriggio noi cinque, io, mia sorella e tre cugini, dovevamo dormire. Qualche volta mia sorella era esonerata perché più grande. Tutti nello stesso letto matrimoniale e se, per l’eccitazione, non riuscivamo a prendere sonno, erano botte. Tante volte abbiamo fatto finta di dormire in attesa che il tempo scorresse via veloce. A volte, così facendo, ci siamo addormentati. Verso le cinque si usciva in avanscoperta per individuare la strada migliore per arrivare alla spiaggia.

Intanto papà aveva già fatto il giro di tutto il quartiere e più per capire dove il giorno dopo sarebbe dovuto andare per fare la spesa. Macellaio, fruttivendolo, panificio. La pescheria non era urgente, e comunque, dava un occhio.

A lui il mare non piaceva ed in vita sua non ha mai fatto un bagno; in costume assomigliava a Gandhi, tanto era magro.

Tutte le mattine, dopo il consulto con le sorelle per l’approvazione del menù, andava prima in spiaggia a mettere gli ombrelloni e poi subito a fare spesa, Mentre noi andavamo al mare, lui restava a casa a preparare il pranzo. Primo e secondo tutti i giorni, il contorno a volte si e a volte no, in alternativa serviva per la cena, che era più frugale. Verso le undici veniva in spiaggia, stava per un po’ seduto sulla sdraio, si alzava, andava a parlare con qualcuno, tornava a sedersi, irrequieto, alle dodici e mezzo se ne tornava a casa per mettere l’acqua per la pasta. All’una tornavamo anche noi. Ed era una confusione senza fine.

Mai come la sera prima di cenare, quando dovevamo farci la doccia. Ci facevano infilare due tre alla volta, senza troppa delicatezza. E guai se ti lamentavi. Bisognava fare in fretta.

Uscivamo già sudati, e magari ci scappava qualche litigio. Subito zittito, perché sennò erano “paccheri”. Come sulla spiaggia la mattina, quando per qualche cucchiaio di latte e per un paio di biscotti, per fare il bagno si doveva aspettare alle undici. Noi facevamo sempre in modo di bagnarci casualmente e tante volte domandavamo a turno possiamo fare il bagno che le sorelle cedevano, mia madre era sempre la più tosta, e per le undici meno venti eravamo in acqua. Dopo una ventina di minuti iniziavano le trattative per farci uscire, seee ai voglia, non ce ne importava niente di essere picchiati ed eravamo forti del fatto che nessuna delle due avrebbe per niente al mondo rischiato di scomporre la propria messa in piega azzardando qualche passo oltre la riva. Ad un certo punto, posavano le asciugamani che avevano in mano per ripararci dal vento subito usciti dall’acqua e prendevano le palette, minacciandoci. A quel punto dovevamo arrenderci. Si incattivivano a passeggiare urlando davanti e dietro, sembravano due tigri. Però intanto erano passati tre quarti d’ora. Subito merenda con la frutta. Guardavamo con occhi languidi chi passava tra gli ombrelloni a vendere le zeppole fritte oppure le pizzette. Un profumo! Non hanno mai avuto pietà.

Se durante la giornata eravamo stati bravi, a giudizio loro, la sera ci portavano al bar a prendere il gelato. Era quello che ci volevano far credere! In realtà le sorelle erano “cannarute” ed il gelato lo volevano loro!

“Penso che un’estate al mare così non ritorni mai più….”