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Tortiera di alici e patate.
Una ricetta per un giorno della settimana specifico: il venerdì, quando era d’obbligo rispettare l’usanza di non mangiare carne. Qui ingredienti e modalità di cottura della tortiera di alici e patate.
Per 4 persone:
- 500 g di alici piuttosto grandi
- 2 grosse patate
- 100 g di pane casereccio secco
- 20 g di pecorino grattugiato (facoltativo)
- un bel ciuffo di prezzemolo
- 2 spicchi d’aglio
- origano
- olio evo
- sale
- pepe
In alternativa all’origano possiamo utilizzare la menta, aggiungendo, magari, anche una grattugiata di buccia di limone.
Il procedimento
Sbollentiamo le patate, mettendole a bollire in acqua fredda leggermente salata, calcolando una decina di minuti scarsi da quando vengono ad ebollizione. Poi sbucciamole e facciamo raffreddare.
Puliamo le alici e priviamole della spina centrale, aprendole a libro. Facciamo attenzione a non romperle.
Tritiamo il prezzemolo e l’aglio, passiamo il pane secco al mixer, in modo da avere delle briciole non troppo sottili.
Versiamo un filo d’olio evo in una tortiera piuttosto grande (io ne ho utilizzata una da 30 cm in modo da fare un solo strato sia di patate sia di alici). Tagliamo a fette sottili le patate fino a comporre uno strato, saliamo leggermente, mettiamo un po’ di aglio e prezzemolo, disponiamo ordinatamente in cerchio le alici diliscate.
Saliamo di nuovo leggermente e aggiungiamo, distribuendo sulla superficie: prezzemolo, aglio, origano, pecorino grattugiato (trovo che dia la giusta spinta di sapidità alle alici, che nella cottura al forno tendono a perdere l’umidità della carne), pane tritato e pepe. Terminiamo con un filo d’olio.
Passiamo in forno a 180° per una ventina di minuti, mezz’oretta.
Il pranzo del venerdì.
A casa mia, il venerdì era assolutamente bandita la carne. Mio padre, in quel giorno della settimana, per pranzo, alternava uova, fritte o in frittata, baccalà (pietanza per lo più invernale, che spugnava personalmente, preparata prevalentemente a zuppa, cioè con salsa di pomodoro), alici cucinate in vari modi.
A quei tempi, nel mio paese non esisteva una pescheria, perciò si poteva mangiare il pesce solo di lunedì, giorno di mercato settimanale oppure il venerdì, quando lo stesso signore, Sabino, proprietario di una pescheria in un paese vicino al nostro, veniva con il furgone frigorifero e si metteva a vendere in piazza.
Il lunedì preparava una piccola bancarella per esporre la merce, mentre il venerdì apriva solo gli sportelli posteriori del furgone. Poi, se proprio non potevi andare in piazza, era possibile intercettare Sabino lungo il tragitto che faceva per arrivare dal paese vicino, come nel nostro caso. Certe volte papà, prima di recarci tutti a scuola dove insieme a mamma insegnava, lo aspettava, verso le 8.30, sul ciglio della strada, passeggiando nervosamente nell’attesa. Sabino rallentava e scendeva, papà comprava di fretta le sue alici e tornava a casa trafelato. Velocemente le puliva e le metteva nell’acqua, si lavava più volte le mani, si rassettava un attimo, nel frattempo mia madre aveva finito le sue pulizie mattutine, salivamo nella 850 celestina e tra le 8.45 e le 8.50 partivamo da casa per la scuola, dove si entrava alle 9.
Eravamo tre femmine in casa ed eravamo insopportabili, soprattutto sul cibo e sui vari piatti che papà ci cucinava. Il venerdì, e non solo, avevamo sempre da ridire. Il pesce non ci piaceva, soprattutto quando magari ci riproponeva lo stesso piatto per due settimane consecutive.
Io, in particolare, mi lamentavo delle piccole spine che le alici avevano nella parte superiore del corpo, che restavano attaccate alla carne una volta pulite. Mi davano fastidio, dicevo che pungevano.
Oggi pare che si usi toglierle con le pinzette delle ciglia. Figuriamoci!
Papà cucinava le alici qualche volta fritte e qualche volta impanate, aprendole a libro e passandole in farina e uova. A volte a tortiera con le patate. La sua, anche se allora mi lamentavo, era più buona della mia. Non bolliva le patate, non utilizzava il pecorino, a volte aggiungeva un pomodoro spezzettato e le patate venivano di un buono impareggiabile. Sarà che a quei tempi gli ingredienti erano quasi tutti prodotti nella nostra campagna.
Vengo a noi. Durante questi mesi appena trascorsi, causa anche l’isolamento forzoso, ho sentito più dolorosamente la mancanza dei miei genitori.
Ogni scena dagli ospedali, le braccia con le flebo, le mani inermi delle persone anziane, mi ricordavano la mano grande e carezzevole di mio padre nella malattia.
Ed allora l’ho cercato nei suoi piatti, in cucina, nella nostra quotidianità. L’ho visto in piedi accanto a me, mentre facevo un giro di patate e poi uno di alici e ti ho sentito, papà, mentre guardandomi mettere il pecorino grattugiato hai detto: Antonie’ ma che so’ ste cose?, ma come ti viene in mente?, mo’… il pecorino con le alici!
Eh si, forse ai tempi di Sabino non l’avresti accettato e neanche assaggiato, ma con l’età ti eri un poco modernizzato!
Ciao papà, non c’è cibo nella mia vita che non sappia di te!