Una ricetta antica, dal sapore nostalgico: da noi non si chiamava torrone gelato e si vendeva solo con zucchero fondente e canditi. Erano i torroncini colorati. La ricetta è di Domenica Antonia Pustorino.

Ingredienti per una vaschetta di alluminio rettangolare di ca. 22 cm di lunghezza.

  • 500 g di zucchero fondente
  • 350 di mandorle pelate tostate
  • 250 g di frutta candita mista
  • poco succo di limone
  • 200 g di cioccolato fondente

La ricetta dello zucchero fondente la trovate qui: https://www.antoniettapolcaro.it/zucchero-fondente/

Se non volete lavorare lo zucchero sul marmo e non possedete una planetaria, una nostra lettrice, Giovanna, ci ha consigliato di mettere la pentola con lo sciroppo di zucchero nel ghiaccio e mescolare con le fruste rotonde dello sbattitore elettrico sino a quando non diventa bianco e lucido.

Volendo, per questa ricetta del torrone ed anche per aromatizzare la glassa fondente da usare subito, mettiamo qualche cucchiaio di succo di limone, mentre la lavoriamo.

Sciogliamo il cioccolato fondente, e come abbiamo fatto per il Torrone dei morti (trovate la ricetta qui: https://www.antoniettapolcaro.it/torrone-dei-morti/) rivestiamo di cioccolato fuso una vaschetta d’alluminio rettangolare. Mettiamo in freezer a rassodare. Volendo, dopo un poco, facciamo un secondo giro di cioccolato (così viene uno strato più doppio).

Prepariamo lo zucchero fondente e aggiungiamo le mandorle pelate ben tostate (in forno a 180° per ca. 10 minuti). Aggiungiamo pure la frutta candita: io ho utilizzato ciliegine rosse e verdi e scorzette d’arancia tagliate a pezzetti. Volendo, le dosi sia della frutta secca che candita possono essere modificate. Dobbiamo però ricordare che 500 g di zucchero fondente richiedono complessivamente un 600 g di frutta (che sia solo secca o candita o mista decidete voi).

Diamo la forma di un rotolo e mettiamo il torrone nella vaschetta di alluminio. Lasciamo in luogo fresco per una giornata (io l’ho passato in frigo).

Prima di sformare, possiamo fare uno strato di cioccolato sul lato inferiore del torrone.

I miei ricordi.

Il giorno che ho pubblicato lo zucchero fondente, come sempre, nei commenti, è stato tutto un ribollire di richieste ma anche offerte di aiuto e consigli.

Questa cosa mi piace molto. Mi riporta alla mente le immagini delle “comari” sedute una vicina all’altra, magari con le sedie davanti alla porta di casa, intente a confidarsi segreti ma facendo pure qualche simpatico pettegolezzo. Certo, noi siamo comari moderne, ognuna sul proprio divano e con un mezzo diverso, ma lo scambio di informazioni è lo stesso!

Nei commenti, appunto, intervenne la signora Maria chiedendomi la ricetta del torrone gelato. Io non ne avevo mai sentito parlare, ma in un commento precedente, Domenica Antonia mi aveva chiesto un consiglio sullo zucchero fondente proprio nella preparazione di questo torrone gelato. Per cui chiesi aiuto a lei e la ricetta fu subito condivisa.

La storia di questo torrone mi ha molto colpita, facendomi ricordare i torroncini colorati che all’inizio del mese di novembre di moltissimi anni fa, era facile trovare in vendita. Si chiamavano torroni del papa o anche torroni regina.

Al mio paese, papà faceva spesa nella bottega di ‘Ngiulina Arminda, dove Arminda non è il cognome bensì il nome della suocera (in questo modo nei nostri paesi si indica l’appartenenza e, quando si parla di loro, le persone vengono subito riconosciute).

Mi piaceva moltissimo questa salumeria perché era ricavata nella casa dove lei abitava con i figli. Per cui, quando andavi a comprare qualcosa, potevi sentire, magari, l’odore dei fagioli che la mattina ‘Ngiulina aveva messo a cuocere, oppure anche quello del sugo. La domanda era d’obbligo: “Nguli’, che stai cucinanno?” L’odore di cibo persisteva anche durante la giornata.

La bottega era piccola, ma piena di cose buone da mangiare. Mi piaceva attendere, aspettando il nostro turno, quando ero in fila con papà. Più tempo impiegavamo e più ero contenta. Passavo in rassegna gli scaffali con la merce esposta, mi soffermavo sulle merendine e sui biscotti, immaginandone il sapore. Non m’importava se non potevo averli. Lì dentro mi sentivo al sicuro, circondata dal calore familiare della casa e dal senso di consolazione proveniente dal cibo. Ero felice quando aspettavo.

Poteva capitare, che mentre stavamo in fila, ‘Ngiulina andasse a controllare la cottura di qualcosa che aveva sul fuoco, anche vicino al camino, e di ritorno ci aggiornava.

‘Ngiulina era apparentemente burbera. Alta e solida, era rimasta vedova con sei figli da crescere. Inoltre, un ictus le aveva paralizzato la parte sinistra del viso, e questo parlare sbilenco era la sua caratteristica insieme ad un delicato incarnato bianco e ai capelli raccolti a crocchia.

Nel mese di novembre, quando arrivavano i “Morti” e si iniziava già a respirare aria natalizia, nella sua bottega arrivavano questi torroncini di zucchero fondente a forma di piccolo cilindro con un’ombra di frutta candita all’interno. Erano avvolti prima dalla carta oleata e poi, all’esterno, da carta velina a forma di lunghe caramelle.

Mia mamma, memore delle grosse privazioni sofferte, era ghiotta di zucchero per cui papà ogni tanto gliene comprava qualcuno. A me non piacevano perché troppo dolci, ma un pezzetto simbolico lo assaggiavo sempre. Stava arrivando Natale, avrei mangiato tante cose buone, saremmo stati tutti più felici.

Grazie, Domenica Antonia Pustorino, per i ricordi che mi hai risvegliato!

Guarda anche