Pizza piena di pane.
Due volte al mese, nella mia casa paterna, si accendeva il forno a legna per fare il pane. A Pasqua, dentro, si metteva formaggio “scamosciato”, uova, prosciutto, parmigiano: era la pizza “chiena” di pane.
Due volte al mese, nella mia casa paterna, si accendeva il forno a legna per fare il pane. A Pasqua, dentro, si metteva formaggio “scamosciato”, uova, prosciutto, parmigiano: era la pizza “chiena” di pane.
La pizza piena di nonna Giannina.
La nostra pizza piena è venuta buonissima, compatta e saporita.
Ma non è come quella che faceva mamma.
Fino a quando i coloni, Minuccio e Maria, sono stati entrambi in vita, la nostra casa ferveva di attivismo: c’era sempre qualcosa da fare in campagna e soprattutto c’erano i raccolti, a cui partecipavano anche altri contadini, quelli che andavano “a giornata”. Papà e Maria cucinavano per tutti, a partire dalla colazione con baccalà, patate, peperoni sottaceto e qualche volta pure i cavolfiori. Il pane non mancava mai. C’era qualcuno che a pranzo lo mangiava insieme alla pasta.
Maria impastava il pane nella madia e due volte al mese si cuocevano una decine di panelle. Ero piccola, ma l’odore del pane, i gesti antichi di passare lo straccio bagnato, detto “munnulo”, per ripulire i mattoni dai residui, la cura amorevole con cui Maria guardava le sue creature crescere nel forno, attenta, attraverso la bocca più piccola, a “sbentà” oppure a mettere un pentolino con l’acqua, il tepore della nostra grande cucina, mi sono rimasti dentro con la dolcezza dolorosa delle cose perdute per sempre.
Come tutte le cose belle, ad un certo punto tutto questo si interruppe. Per la settimana di Pasqua, occasione in cui Maria e mamma preparavano insieme, furono trovate delle alternative. Con il tempo, anche le leccornie preparate sembravano non avere più lo stesso sapore. Tutto veniva accolto tiepidamente, senza slancio.
Successivamente sostituii mamma nella preparazione di pastiera e pizza con la ricotta. Lei continuava a fare i biscottini per il vino, qualche tarallo per papà, una pizza piena di pane ed una nel ruoto. Ma senza entusiasmo, per continuare la tradizione.
Fu solo quando le sue quattro nipoti femmine, due da parte mia e due di mia sorella, si appassionarono alla pizza piena di pane, che lei iniziò a superarsi di anno in anno. Divenne un rito mangiarla subito, solo qualche ora dopo sfornata. Croccante, profumata e piena d’amore.
Questo ricordo di lei, nonna contenta di poter far felici le nipoti, con la sua gheppa di lana riciclata sempre sulle spalle, che cammina malconcia tra la cucina ed il forno esterno per controllare la cottura della pizza piena, ha fatto sbiadire il mio nostalgico passato infantile, che di fronte al dolore ancora graffiante per la sua scomparsa, mi appare ben poca cosa.
Ricordiamola così.
Gli ingredienti
Per una teglia da forno:
2 pezzi da 1Kg di pasta di pane
1.500 g. di formaggio primo sale “scamosciato”
(in mancanza, compratelo fresco e dopo averlo fatto scolare dal liquido tenetelo per 6/7 giorni in frigo scoperto ad asciugarsi)
13 uova
400 g. di grana padano o parmigiano grattugiato non troppo stagionato,
500 g. di prosciutto crudo.
Regolatevi sulla cottura: circa due ore, più o meno.