Normandia e Bretagna. Estate 2009.

La bellezza dei viaggi inizia dalla scelta della meta e dalla programmazione delle tappe. Sogni, immaginando storie di luoghi sconosciuti. Tutto ciò di cui hai sentito parlare negli anni si è sedimentato nella mente, diventando mito, leggenda, curiosità. Un misto tra la scoperta di posti, gente e sapori nuovi.

L’estate del 2009 la ricordo perfettamente; a settembre si sposò mia nipote Mariana.

Prima, però, decidemmo di andare in Francia. Non il solito giro organizzato, ma qualcosa di diverso, di più avventuroso. Normandia e Bretagna, terre di vichinghi, celti, galli, teatro di continue guerre tra Francia ed Inghilterra.

Studiai la cartina e, con l’aiuto della mia amica Nelly Cinque di Plenty Travel, costruii l’itinerario.

Volo fino a Parigi e da lì noleggio di un’auto per un coast to coast.

Armati di un Tom Tom, facemmo una prima tappa a Rouen. Cattedrale di Notre Dame, il porto, ma soprattutto la piazza dove fu arsa viva Giovanna d’Arco.

Lei aveva goduto della mia più grande ammirazione durante gli studi scolastici di storia. Lasciò a casa il promesso sposo, eravamo all’incirca nel 1400, ed accorse in aiuto del futuro re di Francia, incitata da voci e visioni divine. Quando il fidanzato la citò in giudizio per il mancato matrimonio, il tribunale diede ragione a lei!

La mia indole “protestante” faceva sì che mi riconoscessi nella figura vestita da soldato con la spada in mano che, in un mondo dominato dai maschi, riuscì a guidare le truppe francesi contro gli inglesi ed uscirne vittoriosa! Mi ero sentita un po’ come lei, quando durante il liceo incitavo i miei compagni allo sciopero!

La sera mangiammo frutti di mare crudi, specialità di questa zona.

Secondo tappa Honfleur, un gioiellino, meta di turismo balneare. Stradine acciottolate nel centro storico, case con facciate a graticcio, luogo di ispirazione dei pittori impressionisti.

I fiori erano dappertutto: appesi ai lampioni per illuminare le strade, ai balconi, nelle aiuole che formavano le rotonde per le auto, lungo i marciapiedi. Un’esplosione di colori.

A seguire una serie di paesini, Trouville, Deauville, Bayeux. Tutti carini e vezzosi, con caratteristici ombrelloni a righe chiusi con la tenda attorno, come nel film di Totò “Un turco napoletano” del 1953.

Ecco, mi sembrarono dei posti di villeggiatura un po’ datati, dove sembrava che il tempo si fosse fermato!

Continuammo a mangiare pesce oppure anatra, ma in verità la cucina francese mi aveva già un po’ scocciato, con questa loro abitudine di portarti un “secondo” dove combinano varie pietanze, tra cui verdure e riso o pasta con l’intento di far contento il cliente. Chi non apprezza la pasta?

Il foie gras mi rifiutai di assaggiarlo. L’idea di mangiare il fegato e soprattutto pensare che per ottenere questo prodotto le oche fossero costrette ad un’alimentazione forzata mi ripugnava.

Vivevo di baguette, brioche e croissant profumati di burro. Appena vedevo una boulangerie che mi ispirava, mi precipitavo.

Alla fine del viaggio pesavo quattro chili in più a furia di mangiare carboidrati! Per fortuna non avevo ancora acquistato il vestito per il matrimonio!

Proseguendo arrivammo a Port En Bessin, patria delle coquilles saint jacques, le capesante con il grande guscio bianco rigato. Andammo al grande mercato ittico dove la mattina si svolgeva l’asta del pesce.

Sosta ad Omaha Beach, famosa per lo sbarco degli alleati durante la seconda guerra mondiale.

Non in tutte le tappe avevamo prenotato gli alberghi per essere liberi di decidere dove fermarci. Scegliemmo, quindi, una struttura sulla spiaggia stessa. Spartana, di legno bianco, camere ampie, ricordava un po’ i nostri lidi, costruita su una palafitta. Si affacciava sulla distesa infinita di sabbia e mare.

La sera andammo a mangiare un piatto di cozze dallo stesso proprietario della struttura. Era una specie di bar ristorante. Nel nostro stentato francese misto a qualche parola di italiano, riuscimmo a instaurare una sorta di conversazione ed avemmo informazioni sullo sbarco. Storie di persone che sorridevano dalle fotografie appese alle pareti, quadri con stampe dell’epoca autografate, souvenir. Un luogo della memoria, meta di pellegrinaggio da parte dei sopravvissuti e di ritrovo per i familiari dei veterani caduti. Un anziano signore americano disse che lui tornava tutti gli anni.

Mi sentii un’intrusa. Sebbene avessi visitato il cimitero americano e tutte quelle croci bianche in fila mi avevano impressionato, non avrei mai potuto capire il significato delle mine, del peso delle armi che ogni soldato si portava appresso nella sua corsa contro la morte, dei suoi occhi lucidi di commozione.

Insigny sur mer, famosa per un dolce di caramello e per il burro migliore della Normandia.

Un capitolo a parte merita il leggendario Mont St. Michel, un isolotto su cui sorge il monastero dedicato a San Michele Arcangelo. Parcheggiamo alle pendici del monte e percorremmo lunghi tratti a piedi. Ci spiegarono che durante le maree, i parcheggi vengono ricoperti di acqua ed il paese rimane isolato. Salimmo le ripide scalinate che portano al monastero ed una guida, in italiano, ci raccontò la storia. Mentre ci spostavamo da un luogo all’altro, pensavo al film tratto dal libro di Eco, Il nome della Rosa.

Mi era rimasto molto impresso, per cui sovrapponevo le immagini viste a cinema ai luoghi che stavo visitando. Il Refettorio, la Sala degli Ospiti, il Chiostro, la scena dell’incendio nella biblioteca ricostruita dal film agli incendi che tante volte avevano distrutto l’abbazia. Luogo di culto ma anche di mistero.

Quasi all’uscita dal borgo, il ristorante La Mère Poulard, famoso per le sue omelette (nella foto).

Ci fermammo ad ammirare la bravura con cui le preparavano, con tanto di effetto scenico direttamente sulla fiamme del camino. Ne rimasi affascinata, ma non mi passò neanche per la mente di assaggiarla. Per quanto la lingua francese con la sua leggiadra e dolce pronuncia possa rendere accattivante ogni cosa, si trattava pur sempre di una semplice frittatina.

Vuoi mettere con la nostra frittata di cipolle, di agli freschi, di verdure? Per non parlare di quella con i macchieroni!

La sera mangiammo costolette di “agneau de pre-salè”, agnello che si nutre di erba salmastra quando l’acqua della marea si ritira. Un sapore forte. Naturalmente accompagnato da un burro alle erbe.

Proseguimmo per Cancale, Bretagna, patria delle ostriche. Bancarelle ovunque, frutti di diverse dimensioni e prezzi. Non mi entusiasmarono.

Sant Malo, cittadella fortificata e località balneare. Facemmo una passeggiata lungo la sua enorme spiaggia, niente sedie né ombrelloni, né gente vociante né mamme che rincorrevano i figli. Per fare un bagno dovevi percorrere un lungo tratto quasi pianeggiante.

Non posso farci niente, ovunque vado, porto con me la mia appartenenza. Apprezzo la diversità, ma al confronto la terra d’origine mi appare sempre migliore e vincente nel confronto.

Dinan, splendida cittadina medioevale sul fiume, le sue case tra le più belle e pittoresche mai viste. Carne, servita su degli spiedi verticali.

Morlait Vannes Quiberon Tregastel. Chilometri di costa selvaggia e suggestiva, sferzata dal vento. E la scoperta dei biscotti di frolla salata e bon bon al caramello salato.

Quando fu il momento di lasciare l’auto e stipare tutti gli acquisti in valigia ebbi un attimo di panico. Mancava ancora il Camemberg, che acquistai nei due giorni in cui ci fermammo a Parigi. Infilai anche quello in un borsone. Al check in, l’operatore facendo scivolare la valigia sul nastro trasportatore, disse: “Fromage?” e scoppiò a ridere. L’odore era veramente pungente.

In ricordo di quella bella vacanza per i circa due mesi successivi ci arrivarono notifiche di multe per il mancato pagamento del parcheggio. Chissà perché avevo pensato che la sosta fosse gratuita! Il mio provincialismo?