Diciamo la verità: questa estate, come ogni estate, abbiamo fatto degli stravizi. Non ho mai creduto a quelli che dicono che il caldo fa passare la fame e che si accontentano di una insalata di pomodori. Sono solo bugie…

Anche volendo crederci, resta il fatto che l’insalata di pomodori apre un enorme buco nello stomaco che non può essere colmato se non con un bel tozzo di pane da spezzare con le mani e inzuppare abbondantemente nel sughetto rosa, straripante di olio, che c’è sul fondo del piatto.

E che dire delle  pantagrueliche mangiate di anguria “tanto è tutta acqua”?

Pinzando i pannicelli adiposi che ridanno nuova forma al prendisole ormai diventato più che aderente, la frase è più o meno sempre la stessa: io poi che mi sono mangiata? Sono gonfia, è tutta acqua (quella dell’anguria?…)

Non c’è che dire, il cammino verso la pinguedine è lastricato di bugie. E le donne mentono più degli uomini che talvolta hanno il coraggio di ammettere, mai davanti alla consorte, di essersi abbuffati di insalate di pasta e di aver esagerato con la birra.

Si può concedere il beneficio del dubbio a coloro che più che mentire, ignorano. Ignorano, ad esempio, che la candida e delicata mozzarella andrebbe mangiata con moderazione e non infilata in ogni pietanza solo perché ci facilita la preparazione, nobilita il gusto e ci evita di accendere i fornelli.

E non sanno che le dieteticissime gallette di riso, con cui a volte viene sostituito il demone pane, hanno un indice glicemico poco al di sotto del glucosio puro.

Ma qui non è l’ignoranza che tiene banco, non si tratta di bugie, quanto piuttosto la consapevole, o meno, attitudine di noi tutti ad autoassolverci dalle malefatte gastronomiche.

Così dimentichiamo le cene con gli amici in cui abbiamo sì mangiato pesce, ma allegramente abbinando le vongole al pacchero, il polpo alle patate e la grigliata ai ciurilli imbottiti e fritti, annaffiando tutto di un bel vino bianco fresco (“che scendeva una bellezza”) e concludendo con cucurbitacee varie, una cheescake ai frutti di bosco, limoncello e caffè, magari amaro per evitare lo zucchero. Meravigliose serate sul terrazzo o in giardino, in cui si dimenticano gli affanni e con loro anche l’apporto calorico di tutto quel cibo.

E tralasciamo di annoverare tra le nostre imprese mangiatorie anche l’infinità di pizze che abbiamo trangugiato per evitare di metterci ai fornelli (sacrosanto!).

Così aggiungiamo all’ignoranza, la dimenticanza.

Poi c’è la sottovalutazione. Aperitivi, snack spezzafame, gelati, sorbetti, la granita sulla spiaggia, la bibita rinfrescante, la crema caffè, il succo di frutta, hanno tutti il difetto di apparire innocui, leggeri, insignificanti.

Peggio se il cocktail era analcolico perché ci ha tratto d’impaccio. Non aver consumato alcol ci emenda da ogni peccato, tranne a considerare che gli sciroppi sono pieni di zucchero. E sottacendo la quintalata di arachidi, anacardi, patatine e tarallini che abbiamo ingurgitato per controbilanciare col salato il gusto dolciastro e fruttato del nostro aperitivo.

Ignoranza, dimenticanza e ora sottovalutazione. A cui aggiungiamo la rimozione.

Rimozione delle palline al formaggio mangiate in spiaggia insieme al figlio (ma proprio due o tre…), del pezzo di bombolone rubato al marito verso le undici del mattino (un pezzettino così…), dei ciurilli mangiati appena fritti durante la preparazione della cena (e vabbè, che li devo solo cucinare?…) e così via.

La verità, e qui proprio di questa ci preme, è che almeno sul cibo diciamo un sacco di bugie. E il peggio è che le bugie le diciamo talmente bene a noi stessi da arrivare a crederci e a sentirci innocenti, privi di colpa, adducendo le più pretestuose teorie a giustificazione dell’improvviso instaurarsi dei rotolini di ciccia sui nostri fianchi. Lo stress, le intolleranze, il cibo pieno di ormoni, l’aria nello stomaco.

Ora è settembre, svestito il pareo che copriva morbidamente le nostre forme senza costringere, dovremo tornare in ufficio e infilarci di nuovo nei pantaloni di sempre. Il dramma è dietro l’angolo. Il secondo dell’estate. Dopo la prova costume, superata per il rotto della cuffia, grazie a una dieta di soli liquidi praticata nell’ultima settimana prima della partenza, ora c’è da affrontare la prova jeans, la più dura di tutte. Il tessuto jeans non cede. L’orribile visione del salvagente di carne che ci siamo portati via dal mare, strabordante al di sopra della cintola, ci induce a serie considerazioni.

Eppure continuiamo a mentire.

Al ritorno in ufficio, la prima cosa che i colleghi ci fanno crudelmente notare è che “abbiamo messo su qualche chiletto” e noi, giù con le nostre strampalate giustificazioni. Non ammetteremo mai, nemmeno sotto tortura, di aver semplicemente mangiato come dei piranha.

Ma il caso è serio. Tra pochi mesi sarà Natale e mettere altri chili sopra questi vorrà dire rifare completamente il guardaroba.

Conviene andare da un dietologo. Dopo aver pagato una sostanziosa parcella ce ne torniamo a casa, fiduciose, con la nostra bella dieta che ci fa semplicemente mangiare in maniera normale, equilibrata e sana. Rileggendola, al tavolo da cucina, per programmare la spesa da fare, ce ne usciamo trionfanti: ma mangio più di prima!