La Maestra Maria Carmela è mia sorella.

Ama il suo lavoro più di se stessa. Proprio come mamma, da cui ha ereditato esempio e passione. Quando è in mezzo ai suoi alunni, sembra un’altra. Sorride, è felice, si sente amata ed apprezzata. Dimentica persino la casa da pulire.

I suoi scolari resteranno suoi e bambini per sempre, anche quando si sposeranno e diventeranno genitori. La incontreranno per strada e si fermeranno a salutarla, perché la maestra è come la mamma, non si dimentica mai. Lei li vedrà con gli stessi occhi di quando a scuola si avvicinavano alla cattedra con il quaderno in mano e chiedevano “maestra, ho fatto bene?”. Il suo sguardo si riempirà di dolcezza e con tono di voce grazioso domanderà, inclinando leggermente il viso, “Come stai?.. Come va?.. Che dici?” Gli occhi diventeranno un po’ lucidi, rivedendo la donna giovane ed insicura che era stata all’inizio della carriera.

Pazienza se chi sta insieme a lei, dopo qualche minuto, inizierà a dare segni di insofferenza. Lei deve informarsi, essere partecipe, anche se è solo poche settimane che non li vede. Il discorso si estenderà alle famiglie. Non vi dico se poi incontra le mamme o gli alunni del ciclo in corso. La potrai lasciare lì, sul ciglio della strada, tanto lei non si ricorderà più che è uscita con te.

Colui che viene dimenticato più di tutti è mio cognato, Monsignore. Che prima partecipa anche lui, poi si spazientisce, poi ricorda che fa quasi la stessa cosa con i suoi alunni delle medie. Allora diventa indulgente e la guarda, soppesandola, con occhi dolci, sebbene nei minuti successivi, rimasti soli a continuare la passeggiata, possano iniziare a scambiarsi gli abituali rimbrotti. Tra loro bastano gli sguardi ad innescare i dissensi: si conoscono così bene che dialogano con le espressioni del viso!

Eh si, perché lei da mamma ha ereditato proprio tutto! E certe cose le ha anche migliorate!

Per esempio, sopporta il disordine solo quando ingombra il tavolo della sua cucina con schede, libri, colori, forbici.

Deve preparare la lezione per il giorno dopo oppure scrivere i giudizi, organizzare, fare mente locale, preparare materiale per i lavoretti. Per queste operazioni recluta il marito, che improvvisamente diviene prezioso ed indispensabile!

Dedica molto tempo, attraverso telefonate e whatsapp, ad elaborare con le sue colleghe piani di studio, progetti a cui possano prender parte con le classi, visite istruttive. Un vulcano di iniziative e proposte, contro la sua riluttanza a fare anche un solo giorno di vacanza. “Mi scoccio!” dice e sbuffa!

I miracoli dell’amore!

Io e lei ci siamo sempre rispettate, stringendo un tacito patto territoriale di non invadenza. Quando eravamo piccole, esercitava il suo potere di sorella maggiore di nove anni. Fai questo, fai quello. Non bastava mamma.

Meno male, che io non ascoltavo e facevo di testa mia. Diventava buona quando i miei genitori la costringevano a portarmi con lei, certi di evitare incontri ravvicinati con eventuali fidanzati. Ma lei non mi temeva, perciò insieme alle sue amiche, “si tenevano l’appuntamento” io facevo da terzo incomodo.

Qualche volta che mi faceva arrabbiare, la ricattavo! “Mo’ c’iò dico a papà!” Mi prometteva il gelato.

Dormivamo nella stessa stanza. Lei, con il suo guardaroba, occupava quasi i due armadi per intero; mamma la accontentava in tutto. Entrambe volevano che io mettessi i suoi vestiti smessi. Che rabbia! Sarebbero stati sicuramente fuori moda ed addosso a me ridicoli.

Mi ricordo una volta un cappotto di una tonalità di verde che dava nell’azzurro, di lana. A campana. Quando mia madre me lo propose, inorridii. Io odiavo la linea svasata ed il colore poi! Mi vergognai al pensiero di uscire con quella roba. Mamma insisteva “è nuovo, di qualità, è costato tanto e non è stato mai indossato!”

Era vero, mia sorella era talmente viziata che comprava le cose e non se le metteva!

Quando si è sposata, indossavo un vestito verde orribile. Stavolta, la colpa era stata di papà. Avevo da poco compiuto 13 anni e si iniziavano a vedere le forme. Scelsi un bellissimo abito aderente, arancione. Papà quando me lo vide addosso, si oppose. Nacque una scenata. Eravamo nello stesso negozio dove mia sorella aveva comprato l’abito da sposa. Mi misi a piangere, intervenne pure la commessa, ma non ci fu verso. Mi portarono in un negozio più ordinario. Ero bruttissima.

La sera del matrimonio, appena tornammo a casa, andai nella nostra stanza. Mamma e papà avevano iniziato a discutere ad alta voce. Aprii il suo armadio preferito, gli abiti erano ancora lì.  Presi la manica di un vestito e me la portai al viso, accarezzandomi la guancia.

Pensai di aver perso tutto. Senza di lei, avevo paura di quella grande casa vuota.

La maestra Maria Carmela, quando sono diventata grande, mi è stata sempre vicina. Tante volte nelle mie scelte mi ha difesa con mamma e papà. Aveva quel suo modo di non parlare, con gli occhi sempre prossimi alle lacrime. Ti chiedeva scusa, perché avrebbe voluto fare di più ma non ci riusciva. Soffriva con espressione muta, tenendo tutto dentro di sé. Anche durante la malattia di mamma, vulnerabile e fragile.

La maestra Maria Carmela è l’altra parte di me e tutto quello che resta di mia madre.

I nostri genitori saranno felici perché il loro desiderio era di saperci unite. Entrambe sappiamo che sapremo tramandare questa eredità d’affetti alle nostre figlie.

Lei si fida di me ed io… conto su di lei!