Il ritorno alla quotidianità fu strano…

Una sorta di doppia vita tra casa mia e l’appartamento in affitto. Presi coraggio e mi confidai con Emanuela. Le parlai dei dubbi su ciò che Enrico desiderasse davvero da me, la difficoltà di adattamento da parte mia, l’impossibilità di vivere alla giornata, senza pensieri.

Mi ascoltò e mi disse di non sentirmi in colpa. “ Io sto bene, stai tranquilla. Inoltre, quest’ estate papà si è avvicinato a me. Forse perché gli ho parlato di Federico e si è preoccupato. Sai, ci siamo parlati in un modo diverso. Ha detto bel lavoro ha fatto tua madre con te, diglielo!”

Sorrisi e ci abbracciammo, suggellando la nostra volontà di essere una cosa sola.

Le serate con Enrico avevano perso lo smalto. Per quanto si sforzasse di trovare argomenti piacevoli o di creare situazioni stimolanti, io avvertivo dei limiti.

Eravamo andati allo studio e mi aveva mostrato la sua stanza. Una scrivania antica, con ripiano in pelle, lampada di ottone, calamaio in argento. Tante foto felici e sorridenti. I figli da piccoli, la moglie, lui stesso. Pezzetti di vita. Sentii uno spillo pungermi il cuore. Ritornò la Cenerentola che era in me.

Enrico, intanto, mi raccontava di quanto fosse legato a quei mobili che erano appartenuti al nonno, di come li custodisse gelosamente. Lo ascoltavo, facendo vagare i pensieri. Avevo addosso un senso di inadeguatezza e solitudine.

Sorrisi ed obbedendo ad un impulso lo abbracciai. Non capì. Io desideravo che lui diventasse la mia casa.

Mentre camminavamo nel corridoio ripensai “alle Eriche” della sua vita.

Enrico non mi era sembrato geloso del mio passato.

Una volta, mentre facevamo l’amore, mi aveva chiesto chi era stato il più bravo.

Ero rimasta sorpresa e ammutolita. Lui aveva pensato che non volessi rispondere.

In realtà, a me non bastava rispondere semplicemente “tu”.

Dovevo spiegargli il perché. Avrei dovuto parlargli dei miei rapporti precedenti, di cosa avesse sempre significato per me il sesso, di come fare l’amore con lui mi fosse sembrata la prima volta della mia vita.

Di sicuro non voleva questo in quel momento.

Pensai che volesse sentirsi gratificato, stuzzicarmi con i pensieri e le parole. D’altronde, mi era piaciuto anche per questo suo essere diverso, sfrontato e temerario, in grado di prendermi per mano e condurmi in territori sconosciuti.

Risposi con un “tu” a fior di labbra, dimentico dei miei ingarbugliati pensieri da bambina complicata.

“Ti ho aspettato da sempre” fu la sintesi.

Era vero.

Un giorno, tornando a casa per l’ora di pranzo, trovai nella casetta delle lettere un biglietto per me con l’indirizzo scritto a mano.

Lo aprii. La scrittura mi sembrò confusa, “Lei non mi conosce ma volevo dirle che è soltanto una piccola ed insignificante parentesi nella vita di mio padre. E’ già accaduto. E so già come andrà a finire. Lui ama solo se stesso e vive dell’ammirazione che legge negli occhi degli altri. Vede mia madre con regolarità. Con la sua costante presenza ha fatto in modo che lei non avesse la necessità di costruirsi altro, colmando i suoi bisogni. Da separati, il rapporto è migliorato. Tra loro due, niente è cambiato.”

Rimasi senza fiato. Tramortita. Era firmato con una sigla illeggibile.

Sentii lo stomaco contrarsi in una morsa, il cuore accelerare.  Era vero quello che diceva?

Non riuscivo a pensare. Uno stato di trance.

Per fortuna Emanuela non era ancora tornata. Mi lasciai cadere sul divano. Inebetita.

Il telefonino nella mia borsa squillò. Non avevo la forza di recuperarlo. Sicuramente era Enrico, che voleva sapere se fossi arrivata a casa. Era stato in tribunale e non era passato a prendermi.

Non avevo voglia di sentire la sua voce. Lo lasciai squillare. Avrebbe insistito fino a quando non avessi risposto. Diceva che voleva essere tranquillizzato. Misi il silenzioso e scoppiai a piangere.

Chi era Enrico?

Il pianto mi calmò. Andai a lavarmi la faccia, dovevo ricompormi per Emanuela. Non le avrei detto niente questa volta.

Presi il telefonino. Cinque chiamate senza risposta. Un messaggio: “Angela dove sei? Rispondi, non farmi stare in pensiero.”

Non era mai successo che non avessi risposto subito. “Ero dalla mia vicina e avevo lasciato il cellulare a casa. Scusa, ci sentiamo dopo. E’ arrivata Emanuela. Tu dove sei?”

Mi rispose subito, ma non richiamò.

“ Allo studio. Dove posso essere?”

Sentii la voce allegra di mia figlia che diceva: “ Mamma, mamma, sai la novità? Papà è stato trasferito!”

Mi abbracciò, contenta.

(17 continua)

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